Hai mai sentito parlare di “affaticamento pandemico“? Si tratta di una sindrome comportamentale causata dal permanere troppo a lungo esposti allo stress da pandemia: e se anche non avevi mai sentito il termine esatto sono certa che la descrizione dei sintomi ti suonerà familiare.

Irrequietezza, ansia, agitazione, sbalzi di umore, rabbia/rassegnazione, passività agli eventi/mancanza di orizzonti, e ahimè potremmo continuare.

Tralasciando gli eventi più impattanti che hanno sconvolto la vita/salute/lavoro di tanti di noi, e che non necessitano di commenti, anche per chi ha avuto un incontro più defilato col virus la quotidianità è mutata da ormai tanto tempo.
Ed una esposizione prolungata ad una fonte stressogena non lascia indenni: iniziare la giornata senza la minima certezza di avere davanti a noi il giusto spazio lavorativo (“Arriverà la chiamata da scuola con la tanto temuta frase -abbiamo un positivo in classe- e dover bloccare ogni attività pianificata?”). Dover ricorrere a continue navigazioni a vista con orizzonti che variano da pochi minuti alla giornata, quando va benone. Bloccare ogni slancio entusiasta a favore della decisione dell’ultimo minuto, dalle vacanze che per cautela vengono lasciate nel last minute a quell’investimento lavorativo rimandato da troppo. Vivere le ondate fatte di annuncio del nuovo ceppo/fase di aumento/picco/decrescita con conseguente speranza di aver messo alle spalle il tutto/scioccante impatto frontale con la nuova variante, e altrogiroaltracorsa….

So di aver descritto un senso di frustrazione del tutto comune, sperimentato da ogni essere umano presente su questa terra negli ultimi due anni (ognuno con la propria sensibilità e attraverso la singola realtà).

E allora?
Allora non neghiamolo. Perchè negarlo aumenta ancor di più la risposta stressogena del nostro corpo. E negarlo è anche pretendere da noi stessi di avere la stessa resa lavorativa di due anni fa. La stessa serenità-cellulare, gli stessi tempi di risposta, gli stessi parametri di valutazione. Quando il mondo non è più lo stesso.

Nessuna specie vivente resiste anti-darwinianamente al cambiamento come lo stanno facendo gli esseri umani adesso, nella speranza di tornare a quelli che ‘eravamo prima’: forse è giunto il momento di cambiare ottica, con un salto laterale verso il Nuovo.

Nessuna ricetta preconfezionata valida per tutti, non ho la pretesa di averla.
Posso però condividere il dono che lo Yoga e la Meditazione offrono e insegnano: nel Cambiamento, nel buio, ritirati e vai nella profondità dell’ascolto, non distrarti, al contrario tuffatici, e nella sensibilità sottile arriverà quella capacità adattogena solo tua, fatta di compromessi&sfumature che nel vociare etichettante non possono essere compresi.

Buon pratica, in qualsiasi forma sia.

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