Cosa vuol dire Meditare? Perché se ne parla tanto oggi?

Prima di entrare nel vivo dell’argomento facciamo subito una premessa, una sorta di avvertimento affinché chi decide di proseguire nella lettura sia “consapevole e consenziente”: la meditazione non si insegna, la meditazione si fa.

Avremo modo di vedere il perché di questa affermazione così forte, perfino brutale, ma come primo approccio possiamo accennare che è una cosa talmente personale, impregnata a tal punto dall’intero psichismo dell’individuo, che non è riducibile ad uno schema impersonale applicabile come nelle “tecniche”. E’ piuttosto un’arte, che assume pieghe imprevedibili, perché recluta la personalità del praticante, addirittura il suo stato personale in quel particolare momento.

Data questa premessa, credo sia capitato a tutti di aver voglia di “non pensare”, attitudine peraltro piuttosto diffusa oggi: chiedetevi, cosa si può fare, in generale, per non pensare?

Iniziate ad elencare tutte le possibilità: correre fino allo sfinimento, ascoltare musica a tutto volume, rassettare casa da cima a fondo, guardare film molto avvincenti….e sono solo alcuni esempi.

Oppure…..oppure ascoltare.

Potremmo proseguire con gli esempi, e ognuno potrebbe essere ricondotto a due grandi gruppi, dal titolo: 1–> AZIONE SFRENATA, mi dis-traggo 2–>ASCOLTO, mi con-centro.

Sant’Agostino diceva: “E vanno gli uomini ad ammirare le vette dei monti, ed i gradi flutti del mare, ed il lungo corso dei fiumi, e l’immensità dell’oceano, ed il volgere degli astri……e si dimenticano di se medesimi.

E quindi mi chiedo: ha senso dis-trarmi, portarmi fuori, lontano, per non ascoltare il brusio della mia mente? O così facendo ottengo solo un palliativo momentaneo, col brusio che diventa fragore quando “rientro in me”, dovendo così aumentare ogni volta il livello di distrazione per non sentire il rumore di fondo?

Per iniziare ad esplorare cosa significhi meditare, partiamo dal vocabolario, che è sempre una buona base per capire di cosa si stia parlando:

meditare, da Treccani: Fermare a lungo e con intensa concentrazione spirituale la mente sopra un oggetto del pensiero, considerare profondamente un problema, un argomento, soprattutto di natura religiosa, morale, filosofica, scientifica, allo scopo di intenderne l’essenza, indagarne la natura, o trarne sviluppi, conseguenze.

Qui si parla di un oggetto nella meditazione, ricordiamoci che l’enciclopedia Treccani è stata fondata, e successivamente si sviluppa, in occidente: vedremo in approfondimenti futuri che la meditazione può essere “con seme” o “senza seme”.

Però ci ha già dato uno spunto per proseguire, ha parlato di intensa concentrazione.

Allora andiamo a vedere concentrazione, peraltro da qualcuno definita come l’anticamera della meditazione (per chi è pratico: vedi Patanjali): sempre da Treccani, Raccogliere, radunare, far convergere in uno stesso punto o in una zona ristretta, come in un centro.

Già che ci siamo vediamo anche il significato di distrazione, da Treccani: Stato del pensiero rivolto altrove, e perciò assente dalla realtà attuale e circostante. (….) In psicologia, stato di dissipazione della mente, che subisce la successione spontanea delle immagini, determinata da stanchezza, da esaurimento, ecc. (…) Quanto contribuisce a distrarre la mente impedendo di svolgere proficuamente la propria attività.

Visto che a noi studenti occidentali piacciono le sintesi, se già desideriamo una riassunto di cosa significhi Meditazione, provate a rileggere la definizione di distrazione e pensate all’esatto opposto. Rileggetela.

Pochi mesi fa Einaudi ha pubblicato un meraviglioso libro “Il silenzio è cosa viva” di Chandra Livia Candiani: ” Meditare non è cercare vie d’uscita ma piuttosto vie d’entrata. (…) Il mondo è pieno di persone che danno ricette per disfarsi di qualsiasi cosa ci opprima, per non sentire o entrare in un’illusione anestetizzante, la pratica della consapevolezza, invece, insegna a stare, a entrare in intimità con quel che accade”.

Lei insiste sul fatto che la meditazione ha innumerevoli benefici psicofisici (ci soffermeremo negli approfondimenti futuri), ma guardarla con questa ottica ne tradisce il senso originario e decisamente più profondo di questa pratica che consiste piuttosto nel fare i conti con se stessi per provare a stare con quel che c’è.

Thich Nhat Hanh, monaco vietnamita, profonda guida spirituale, afferma che “meditare significa prestare piena attenzione a qualcosa. Non significa sfuggire alla vita; a contrario, è un’opportunità di osservare a fondo noi stessi e la situazione in cui ci troviamo”.

Ecco perchè affermavo prima che non si può “insegnare” a meditare, che non è una tecnica, dove ci sono procedure valide universalmente, applicate le quali si giunge a risultati testati e prevedibili. Perchè nella meditazione c’è la vita di ognuno di noi.

Carlos Fiel, Maestro che seguo da qualche anno, dice “Meditiamo come viviamo. Quando sono seduto nella meditazione, sono seduto con quello che è la mia vita.”

Ecco perchè la meditazione è così “dura”: perchè ci fa rendere conto di quanto fuggiamo da noi stessi.

Tornando alla “trasmissibilità”: desideriamo tanto protocolli, procedure da seguire, ed effettivamente spunti o suggerimenti esistono, e tanti anche, qualcuno tra i meno vicini all’idea di protocollo lo vedremo, ma in generale auspicare in una procedura del tipo “se fai questo, ottieni quello” è quanto di più lontano ci sia dall’idea stessa della meditazione.

Thich Nhat Hanh parla di rilassarsi, ma se sostituite la parola rilassarsi con meditare possiamo comprendere il senso: “Non occorre riservarsi un tempo per riposarsi e rilassarsi. Non serve un cuscino speciale nè attrezzature strane.Non occorre un’ora intera. Di fatto, adesso è un ottimo momento per rilassarsi” (Rilassarsi in consapevolezza, Terra Nuova Ed., 2017).

Per approfondire il significato di Meditazione, Carlos Fiel dice semplicemente 3 cose, in cui c’è racchiuso però un mondo: Sedersi, respirare, aspettare.

Sedersi, ossia fermare il corpo, primo passo per rallentare la mente.

Respirare, in maniera calma: e soprattutto osservare il respiro, vero ponte tra corpo (fermato nel passo 1, metto un ponte tra una cosa ferma, e un’altra, fermerò anche la seconda) e mente.

Aspettare…con fiducia e piena consapevolezza. Cosa? Niente. Non si sa. O piuttosto, si deve avere fiducia che arriverà qualcosa. E non lo si fa “per ottenere qualcosa”, ma per stare nel qualcosa…….nel presente: l’unico posto dove può esserci la vita.

Aspettare nulla, o forse tutto; magari fede nel non dover cambiare per forza qualcosa, capacità di “stare” con quello che c’è, guardandolo, abbracciandolo nella sua realtà.

“Sedersi per essere quello che già sei. Meditare è un po’ come essere spettatori della caduta dell’impero. Come tutto cambia, passa, si modifica, come tutte le creazioni della mente siano in realtà illusorie, arrivano si modificano e poi si dissolvono. Meditare è essere spettatori dell’evanescenza dello scenario.”

Ecco perchè ogni stato d’animo è giusto per sedersi a meditare, perchè è “quello che siamo”. Si tratta di una sorta di contemplazione dei pensieri: noi occidentali figli dell’Illuminismo viviamo nell’inghippo di identificarci con la nostra mente, e quindi con i nostri pensieri (il frutto della mente).

Qualche giorno fa leggevo un libro di anatomia per bambini, peraltro molto illuminato, che scrive: “Il tuo cervello è l’organo che fa di te ciò che sei”….ecco, avrei qualcosa da ridire, mi sembra molto sminuente. Sono convinta, lo Yoga è convinto, che siamo molto altro.

Siamo ciò che rimane DOPO i pensieri: spesso noi “pensiamo i pensieri”. Proviamo invece, semplicemente, ad osservare i pensieri. Osservandoli, e non pensandoli, li possiamo lasciare andare.

Questo non per svilire il pensiero, per condannarlo, anzi: è un metodo per imparare a valorizzarlo, a uscire dal pensiero giudicante che copre le emozioni sostituendosi ad esse, e ne esce quindi puro e con chiara visione.

Dice Simone Weil nel libro “Attesa di Dio” : “E’ la capacità di sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto“. Ed è allora che accadono cose, intuizioni, brevi e a volte fugaci rivelazioni, una sorta di esperienza di agio e lucidità nella visione.

Si tratta in sostanza del non-attaccamento yogico, che ci insegna a non identificare il nostro Sè profondo con gli stati d’animo che ci attraversano: io non sono quello.

Non si tratta di percorsi per uscire dalla condizione che ci preoccupa ma, semmai, per imparare, come direbbe Hegel,a soggiornarci, a guardarla faccia in ogni suo farsi,” al tempo stesso non per accettarla e rassegnarsi ad essa ma, come spiega bene la Candiani, per accoglierla e solo dopo averla accolta, poterla rielaborare, sino a cambiarle di segno e di significato.

Ancora la Candiani: “Per essere nella presenza, devo coltivare a lungo uno sguardo sull’io, anziché guardare tutto dai suoi occhi. Anziché guardare il mondo dalla rabbia, dalla tristezza, dall’eccitazione, guardo la rabbia, la tristezza, l’eccitazione. La presenza è riconoscere quello che c’è, riconoscere la calma, riconoscere il movimento dei pensieri.”

Meditazione quindi non è “sognare”, al contrario, è “esserci, totalmente nella consapevolezza”. Serve a capire quanto sia bello, interessante, importante, tutto ciò che sta fuori dalla meditazione, sia esso bello o brutto.

Ecco la sofisticatissima tecnologia che c’è dietro: si tratta di applicarla alla particolarità della mia vita, del mio momento (che come vedremo negli approfondimenti futuri non deve essere necessariamente in una stanza isolata e nell’inazione.).

Oltre alla triade sedersi-respirare-aspettare a volte Carlos Fiel utilizza anche Contempla (stai presente), sorridi (apri il tuo cuore a ciò che c’è) e stai zitto (ossia non reagire subito, anche solo con pensieri, davanti alla realtà che ti si presenta, o alla mente: silenzia la mente reattiva).

Thich Nhat Nanh sintetizza in fermati (“Passiamo tutta la vita a correre, inseguendo questa o quella idea di felicità. Fermarsi significa smettere di correre, smettere il nostro stato di costante distrazione, sempre persi nel passato o nel futuro. Torniamo a casa nel momento presente, nel quale è disponibile la vita. Il momento presente ha in sè tutti i momenti.”) e osserva profondamente (“Osservazione profonda, per vedere la vera natura delle cose. Comprendere è un gran dono; è un gran dono anche condurre la propria vita quotidiana nella consapevolezza, anche questa è pratica di meditazione. La consapevolezza porta con sè la concentrazione e la comprensione”).

Ritornando ai 3 passi di Carlos Fiel:

Sedersi: occorre che la posizione sia comoda ma stabile, per essere nella presenza mentale la colonna vertebrale deve essere verticale, non perdere il suo asse e la sua proiezione: mai. Ecco perchè il corpo deve essere sano e flessibile, perchè si deve poter mantenere la posizione a lungo senza fastidi.

La mia maestra Alexandra Van Oosterum dice che tutto lo Yoga si riduce a poter mantenere la posizione seduta per meditare, e non avere problemi fisici che distraggano (eccolo di nuovo) la mente. Non crollare. Al più appoggiare la schiena ad una parete, oppure utilizzare un panchetto da meditazione.

Respirare: come? In maniera, semplicemente, calma, spontanea. Ed osservare il respiro. Ancora Thich Nhat Nanh: ” Il nostro respiro è un ponte che collega insieme il corpo e la mente. Nella vita quotidiana possiamo ritrovarci con il corpo in un posto, e la menta da qualche altra parte, nel passato o nel futuro; lo si definisce uno stato di distrazione. (…) Quando cominci ad inspirare ed espirare in consapevolezza, la tua mente torna al corpo. Se sei in grado di realizzare l’unità di mente e corpo, e di renderti pienamente presente, pienamente vivo nel qui e ora, sarai in condizione di entrare in contatto profondo con la vita in questo preciso istante. Non è una cosa difficile, chiunque ci può riuscire”

Piena consapevolezza del fatto che sto inspirando mentre inspiro, che sto espirando mentre espiro. Niente di più.

Aspettare: non significa non avere pensieri. Ma quando arrivano osservarli, accorgersene, come fossero nuvole che arrivano in uno schermo, “oh guarda un pensiero, vai, esci pure”, e lasciarlo andare.

Carlos Fiel dice che se in mezz’ora di meditazione la mia mente è andata via 500 volte vuol dire che è stata una buona meditazione, perchè è anche tornata 500 volte, mi sono reso conto per 500 volte che non ero presente e sono tornato al mio respiro: se è andata via 1 volta sola vuol dire che è rimasta via.

Spesso la mente potrà sembrare come una scimmia che saltella da un ramo all’altro, o come un cavallo al galoppo senza cavaliere…..ecco perchè, per sfuggire da queste immagini, la via più usata è la dis-trazione. Niente paura: la si osserva, la mia mente non sono io.

Un’ultima nota pratica: la Meditazione è un ramo dello Yoga, e come tutte le discipline ramificate è rischioso, molto rischioso, estrapolare una parte dal contesto, anche se sul piano del marketing ha dato recentemente molti frutti. La Meditazione, come esperienza, arriva dopo (decisamente dopo) Asana (posizioni del corpo: per capirci la parte di Yoga praticata in occidente nelle palestre, visivamente una sorta di ginnastica): e se arriva dopo un motivo ci sarà.

Perchè? Perchè occorre creare le condizioni di calma nella mente, occorre rallentare la macchina (la mente) che altrimenti arriva al muro (l’immobilità della meditazione) in scontro frontale.

Il rischio è quello non di una scimmia che dondola, ma di una scimmia impazzita: allora la rallentiamo attraverso il corpo. E per gli scettici, nei prossimi approfondimenti ce lo faremo spiegare da Patanjali, quando affronteremo la meditazione nella tradizione yogica.

Concludo con un’affermazione pacificatrice e riassuntiva: l’intenzione profonda della meditazione è quella di riconciliare l’essere umano con la sua essenza profonda, sia con ciò che ci piace, sia con ciò che non ci piace…..entrambi hanno lo stesso diritto di esistere nella nostra vita.

E allora: buona pratica di consapevolezza a tutti.

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