Circa la metà delle persone che mi pongono domande sulla pratica Yoga sono interessate all’effetto ‘calmante’, rilassante della pratica; e siccome ci tengo particolarmente a ricordarmi e ricordarci che Yoga non è uguale (solo) ad Asana (posizioni), oggi desidero introdurre una prima tecnica di Pranayama, partendo da quella che per eccellenza è la respirazione calmante, Ujjayi Pranayama.

Per chiarire di che cosa si occupa il pranayama (quarto step dell’ottuplice cammino definito da Patanjali) non bastano anni di studio, allora sintetizzerò moltissimo nell’accennare che si tratta di un lavoro sul piano del corpo energetico, tramite (anche) il controllo del respiro, per andare ad espandere l’energia vitale, il Prana, appunto.

Il nome significa Respiro Vittorioso, deriva dalla radice ji che significa ‘conquistare’,  e il prefisso ud, che significa ‘schiavitù’: è dunque il pranayama che libera dalla schiavitù. In alcuni testi viene anche definito il respiro psichico, perché porta a stati sottili della mente.

Ma come si esegue?  L’Hatha Yoga Pradipika gli dedica 3 sutra, (II.51-II.53), in particolare nel II.51 si dice che “A bocca chiusa si deve inspirare lentamente l’aria dalle narici, in modo che il cammino dell’aria dalla gola al petto produca un suono”. In realtà non ci aiuta molto nella comprensione, come spesso i testi antichi, che prevedevano sempre la presenza di un Maestro nella trasmissione, ed anzi può fuorviare accennando al suono (che in verità deve essere utilizzato come verifica nell’apprendimento, ma poi deve essere udibile solo da chi pratica).

Ed allora vediamo alcuni consigli: seduti in una posizione comoda, schiena ben eretta (per chi soffre in Sukhasana o simili va bene anche sedersi su una sedia), inspiriamo e a bocca aperta espiriamo come per emettere un “rantolo romantico” (grazie maestra Alexandra Van Oosterum per l’immagine poetica e chiarificatrice!). Ossia, espiriamo sentendo una gentile contrazione nella gola. Quando abbiamo percepito la sensazione distintamente (non si contrae la lingua o i muscoli facciali, bensì la glottide), proviamo ad eseguirlo sull’espiro ma a bocca chiusa. Solo col tempo passeremo all’Ujjayi sull’inspiro, più complesso.Se questo viene praticato correttamente si produce un suono come il lieve russare di un bambino che dorme.

Ma cosa succede concretamente? Le corde vocali si avvicinano lasciando un foro di passaggio d’aria ridotto, ecco che la stessa quantità d’aria per uscire richiederà più tempo: risultato, respiro allungato!

E’ la maggiore lunghezza del respiro (in primis) a produrre tutta una serie di effetti benefici: “questa pratica calma il sistema nervoso e la mente. Ha un effetto profondamente rilassante a livello psichico. Aiuta ad alleviare l’insonnia e può essere praticata in shavasana prima di addormentarsi. Rallenta il battito cardiaco ed è utile per persone che soffrono di ipertensione” (Asana Pranayama Mudra Banda, Swami Satyananda Saraswati).

Aggiungo che non ha controindicazioni, ed è quindi utilissimo anche in gravidanza ed in alcune fasi del travaglio. Ed una volta che la tecnica sarà nostra, sotto la guida di un Insegnante, potremo eseguire questa respirazione anche durante l’intera pratica di Asana, o introdurre, molto gradualmente, ritenzioni (Kumbhaka) o combinazioni con altri Pranayama.

E il vostro approccio con Ujjayi qual’è?

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